
Ep. 74: Daniele Ratti - L'imperfezione perfetta: il viaggio fotografico tra pellicola e anima
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Daniele Ratti, fotografo torinese e architetto di formazione mai professato, ha iniziato il suo percorso artistico a soli 14 anni con l'acquisto di una Rolleiflex 35. La fotografia è diventata il suo scudo contro la timidezza: "La macchina fotografica è sempre stato uno scudo, attraverso la macchina fotografica riuscivo a fare qualsiasi cosa perché è qualcosa che sta tra te e la persona."Dopo gli studi in architettura, Ratti iniziò a lavorare con i fotografi torinesi Piero Italiano e Maren Ollman: "Non c'erano sabati, non c'erano domeniche, poi si inizia sempre con i matrimoni, la più grande scuola di fotografia che c'è." Uno dei primi compiti ricevuti fu fotografare venti persone non attraenti, nude – un esercizio per "cercare il bello nel brutto" che ha segnato il suo approccio.Nel suo lavoro, Ratti persegue la perfezione consapevole che "la perfezione non esiste. La perfezione ha dentro di sé anche l'imperfezione, e l'imperfezione è quella cosa che dà poi alla fotografia un po' più di anima." Confrontando il suo approccio con quello di Mapplethorpe, tecnicamente impeccabile, sottolinea l'importanza dell'emozione oltre alla tecnica.Nonostante le critiche per la mancanza di uno stile univoco, Ratti alterna liberamente bianco e nero e colore, architettura e ritratti. Il suo legame con la pellicola rimane essenziale: "Nasco con la pellicola, per me ha quel fascino che scatto, sbaglierò, non sbaglierò, sarà come verrà... mi piace anche il fatto di essere limitato, ho 36 scatti, 2 rullini, 3 rullini." Questa limitazione impone una disciplina creativa che valorizza ogni scatto.Per il suo viaggio in Giappone, patria del suo fotografo preferito Shoji Ueda, si impose un limite: "Queste sono le mie 30 pellicole, 20 in bianco e nero, 10 a colore, punto, e me ne devo fare bastare." Una scelta che lo ha soddisfatto pienamente.Sulla dualità tra fotografo e artista, Ratti è pragmatico: "Faccio fatica a considerarmi un artista. Io faccio il fotografo. Voglio fermare quell'attimo, quel momento." Che si tratti di lavori commerciali o progetti personali, il suo approccio rimane coerente.I suoi progetti fotografici seguono tempistiche brevi: "Ho bisogno di nuove emozioni, di stimoli, e qualcosa che mi impegna per tantissimo tempo a volte mi prosciuga." La fase di realizzazione fotografica è concentrata, mentre post-produzione ed esposizione richiedono più tempo.L'11 giugno 2025 inaugurerà alle Gallerie d'Italia a Napoli la mostra "Due cuori una capanna: case e architetture dove sono state immense storie d'amore." Un progetto sviluppato in quattro anni e mezzo, dove la fase fotografica è stata breve: "Il corpus di 38-40 case ci ho messo poco a farlo. Tutto quello che viene dopo richiede molto più tempo."Il suo rapporto con Torino è profondo: "Non sono di Torino, ci vivo benissimo, ha un rapporto qualità contro tutto il resto molto alto, mi ha dato tantissimo." Dopo trent'anni in città, ha costruito una rete di relazioni efficace. "È una città dalle potenzialità immense, manca il passettino in più." Secondo lui, Torino dovrebbe "prendersi più cura delle persone che ci abitano, degli artisti."Sul ruolo della fotografia oggi, Ratti osserva: "Per la prima volta nella storia dell'umanità siamo bombardati da immagini. Non ci sono mai state così tante immagini, così tante storie." Questo comporta superficialità: "Abbiamo una soglia di attenzione minima e devi essere bravo a raccontare quello che fai, per tenere una persona anche soltanto 40 secondi davanti a una fotografia."Nell'epoca della "fast photography", l'aspirazione di Ratti è creare qualcosa di duraturo: "Io vorrei che le fotografie che faccio, non dico per sempre, però che rimanga qualcosa." Con umiltà conclude: "Non lo so se sarò fortunato, se fra vent'anni sarò ricordato o completamente dimenticato, però mi piacerebbe che una fotografia fra 50 anni... che bella questa fotografia, di chi è, poi non si ricorderanno di chi è, ma almeno la fotografia c'è."