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サマリー
あらすじ・解説
La prima notte in ospedale s'è poi rivelata durissima. Nel pomeriggio avevo mangiato dei wafer al cioccolato fondente presi a una macchinetta durante l'attesa coi miei genitori, e meno male, perché durante la prima serata e la prima nottata in pronto soccorso, non ci sarebbe stata nessun'altra occasione per mangiare qualcos'altro. Subito dopo aver messo il camice, cominciano a venire da me una successione di infermieri e di medici, e anche due rianimatrici pronte a spiegarmi che sarebbe servito applicarmi un'arteria artificiale al polso, perché i prelievi dall'arteria sarebbero diventati subito dopo molto frequenti. Quindi dopo due accessi venosi, mi viene installato questo nuovo marchingegno al polso, con l'aiuto di un'anestesia locale, e un bel po' di lavoro. Tengo i denti stretti, anche se qualche dolore si stesse sentendo lo stesso, poi le due rianimatrici mi dicono che gli è necessario mettermi due punti per rendere ben stabile l'arteria artificiale, resisto con pazienza ancora un po' e il lavoro è fatto. Le rianimatrici si complimentano con me, dicendo avessi avuto molta pazienza e fossi stata molto ferma e collaborativa, visto che si trattasse di un'operazione delicata e un po' fastidiosa. Nel mentre avevo ancora l'ossigeno attaccato al naso, delle infermiere mi avevano fatto dei prelievi venosi a tradimento su un braccio, e sull'altro avevano avviato una flebo per idratarmi bene durante tutto quello che sarebbe avvenuto per tutta la notte, di lì a poco. Le stesse rianimatrici mi introducono a un nuovo marchingegno, la cosiddetta maschera a pressione CPAP, che a differenza delle piccole cannucce che stavo fin lì indossando, che portano solo l'ossigeno al naso agganciandosi sopra alle orecchie – poi ho scoperto si chiamassero "occhialini" –, prevedeva, in aggiunta all'ossigeno, l'uso della pressione per facilitare il riempimento dei polmoni e l'innalzamento della saturazione. Ma allora, non potendo più abbandonare il letto a causa della flebo, e di questa maschera che mi stavano per attaccare, un'infermiera è arrivata per farmi indossare un bellissimo pannolone, che mi sarebbe servito per urinare durante tutte quelle ore legata al letto. Sul momento ho pensato di non essere capace di farmela addosso, mi sembrava ridicolo, ma ben presto dovetti abituarmici, e non risultò nemmeno difficile, poiché si trattasse dell'unica possibilità di fare pipì. La maschera CPAP, misura M, mi stava bene all'inizio, premeva il giusto, e coprendomi l'intera faccia, aderente, insisteva a farmi respirare per bene l'ossigeno, ma mai avrei pensato di doverla tenere per tutte quelle ore! Gli infermieri avevano parlato di alcune pause che avrei fatto dall'indossare questa maschera, ma erano stati vaghi per non farmelo pesare fin da subito. Per tutta la notte ho tenuto la maschera CPAP, e spesso mi veniva fatto un prelievo arterioso chiamato "emogas"; la desiderata pausa è arrivata solamente la mattina dopo, quando frastornata da un'altra notte senza dormire, piena di cose nuove e fastidiose, sono riuscita a bere un tè caldo e a mangiare qualche biscotto bianchissimo, zuccherato, "uccidi glicemia", come i wafer del pomeriggio prima, che però in quel caso erano ben accetti e non avrei mai potuto rifiutarli. Il ricovero era iniziato attorno alle 19 del 25 settembre, e già in quella mattina del 26 settembre si capiva che sarebbe stato ancora lungo e tortuoso, e che dovessi tenere duro.
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